Territori precari

( a tutti gli animali selvatici del mondo )

Ci sono dei luoghi che si impongono così fortemente con la loro presenza fisica che le parole per esprimere ciò non possono che riflettere la nostra inadeguatezza. Le Col Agnèl – Il Colle dell’Agnello è uno di questi. Rendetevi conto, 2744 metri, temibile e temuto, è il secondo più alto valico di Francia e Italia. Quando il generale Inverno ha finalmente ritirato le sue truppe, vi si può accedere dal lato francese con una lunga salita attraverso un impressionante deserto minerale. Versante italiano: un muro scosceso a strapiombo, da superare in uno slancio. Ma almeno, oggi, si passa in estate senza grandi assilli. Non fu però sempre così. La leggenda vorrebbe che Annibale vi sia già transitato con i suoi elefanti nel 218 a. C., ma si tratta più di un’ipotesi che si realtà. Per quanto ne sappiamo, da sempre guerre, conflitti religiosi, carestie, povertà o semplicemente motivi economici lo rendono un importante e obbligato luogo di passaggio. Sulle pendici piemontesi si risaliva con i raccolti, mentre su quelle francesi con sale e prodotti dell’allevamento. Alcuni valicavano il colle per la stagione, altri si trasferivano stabilmente, sull’uno o sull’altro versante vi impiantavano le loro radici. I patronimici e i toponimi ne sono la prova. Prima del francese o dell’italiano la lingua locale e comune fu soprattutto quella dei suoi abitanti. Essa abbatteva la frontiera. Come per il lupo, il camoscio e l’ape il territorio dell’uomo di allora ignorava questa linea immaginaria, quest’origine dei problemi, spostandosi di preferenza laddove era più facile sopravvivere.

Perché di certo è ancora una volta una questione di “frontiera”, questo segno forzato, deciso ove non la si mette mai in pratica (voi certo non ignorate il numero crescente ed inquietante di muri eretti e di linee di frazionamento sul globo terrestre che fanno presentire il peggio). Ma che cos’è, dopo tutto, una frontiera se non un limite talmente artificiale che ignora troppo spesso la storia degli uomini. Perché questo famoso Col o Colle è prima di tutto la storia di partenze, arrivi, di alternanze e mescolanze obbligate che hanno fatto delle genti dei due versanti non degli emigrati o dei migranti, ma degli “impollinati” o degli “impollinatori”. La ricchezza sta qui, anche se non tutti la sanno apprezzare. Come l’ape, l’uomo è un “essere sociale”. Nell’organizzazione dell’alveare, l’ape e i suoi consimili lavorano per il benessere e la sopravvivenza della società. Ognuna protegge e ha bisogno dell’altro. Dove “l’Altro non può dunque che essere plurale” e dove l’idea di “ascolto” e “differenza” è Regina. Siamo costretti tuttavia a constatare in questo mondo definito “globalizzato” che paradossalmente ognuno si nutre del suo individualismo rigido e trionfante e lotta contro tutti gli elementi per proteggere il suo minuscolo e sterile orticello. Ora la Storia (quando ancora la si studia) ci ha spesso insegnato che l’uomo non farà mai la scelta del suo “essere insieme”. Che l’uomo, per dirlo in una parola, non ha avuto e non ha ancora oggi “uno spirito aperto sull’avvenire”. Un futuro che sembra attualmente piuttosto cupo. Da un lato l’inquinamento su vasta scala e le monoculture minacciano pericolosamente le api e più in generale la vita sulla terra. Dall’altro la sete di potere di una minoranza, l’ipocrisia eretta a valore primario, il pericolo di un sistema con il fiato corto e il principio di acculturazione generalizzato favoriscono il sorgere di nuovi pericoli. La paura dell’Altro è nuovamente cresciuta a dismisura e ci si allontana pericolosamente dalle virtù dell’”impollinazione”. Stiamo attenti, il nostro “chiudere gli occhi sul mondo” favorisce il rischio.

“ E se le frontiere non fossero che i punti di sutura della nostra ignoranza ? ”

 FM